La Guida del Consiglio d’Europa sui diritti di chi naviga in rete

Lo scorso 16 aprile il Consiglio d’Europa ha pubblicato una guida sui diritti degli utenti che navigano in rete. Un documento di rilievo non solo per tutti coloro che accedono alla rete e utilizzano i vari servizi ivi offerti, ma anche per le Autorità pubbliche e gli attori del settore privato, tenuti, ciascuno in base alle proprie competenze, a operare per garantire il rispetto dei diritti e delle libertà di ogni utente.

Ed infatti, come espressamente enunciato nella guida del Consiglio, l’obbligo di garantire a ciascuna persona i diritti umani e le libertà fondamentali sanciti dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo è valido anche “in the context of internet use”.

Precisazione tutt’altro che irrilevante, atteso che ancora troppo spesso la rete rappresenta il luogo virtuale in cui si verificano continue e reali violazioni di diritti e libertà fondamentali.

L’obiettivo perseguito dal Consiglio con la guida pubblicata è proprio quello di richiamare l’attenzione degli utenti su alcuni diritti, spesso ignorati da quest’ultimi e dagli operatori del settore, e di contribuire ad accrescere la consapevolezza che gli stessi devono essere garantiti, sia off line che on line, ad ogni utente, che potrà attivare idonei rimedi nel caso di loro eventuali violazioni.

Nel documento (aperto ad accogliere periodiche modifiche), il Consiglio richiama il diritto di accesso alla rete, definito come strumento di esercizio dei diritti e come mezzo di partecipazione alla democrazia, sottolineando la necessità di favorire il concreto esercizio di tale diritto anche da parte di chi vive in zone rurali e isolate, senza che possa essere posto alcun vincolo di tipo discriminatorio.

Viene poi considerata la libertà di espressione e di informazione attraverso la rete e il diritto di riunione e partecipazione, da poter far valere anche on line, mediante le varie piattaforme e i vari strumenti allo stato disponibili, pur nel rispetto dei diritti altrui, dell’ordine pubblico, della morale e della sicurezza.

Il Consiglio richiama poi espressamente il diritto alla protezione dei dati personali, rispetto al quale occorre rilevare che sussiste ancora un elevato grado di disinformazione che determina, in capo all’utente, il falso convincimento che la cessione dei propri dati e il loro indiscriminato utilizzo siano la moneta di scambio necessaria per poter usufruire dei vari servizi offerti on line e, in capo agli operatori, l’aleatoria sicurezza di poter raggirare gli obblighi di legge previsti dalla normativa di settore in materia di privacy.

Nel documento in esame si mette invece in luce l’importanza del diritto alla protezione dei dati personali e si evidenzia che, se l’uso di internet e dei vari servizi e piattaforme offerti tramite la rete, spesso, comporta la raccolta e la gestione dei dati dell’utente, tuttavia quest’ultimo deve essere sempre informato delle specifiche legate al trattamento dei propri dati, che dovranno essere utilizzati nel rispetto della legge e degli obblighi espressamente previsti dalla normativa di settore.

Interessante inoltre rilevare che, nella guida, il Consiglio rammenta agli utenti che la loro privacy debba essere rispettata anche nei luoghi di lavoro, con ciò richiamando un argomento che, negli ultimi anni, ha assunto un notevole rilievo – in quanto connesso all’utilizzo degli strumenti elettronici che consentono di effettuare controlli a distanza dell’attività lavorativa – rispetto al quale occorre richiamare sia la normativa in materia di privacy, sia la disciplina posta a tutela del lavoratore (e quindi, con riferimento al nostro ordinamento, sia il D. Lgs. 196/2003 – codice privacy- sia la legge 300/1970 – Statuto dei lavoratori).

Infine, nella guida vengono elencati alcuni rimedi cui l’utente può ricorrere nel caso di limitazioni o violazioni dei propri diritti, fermo restando che, come espressamente dichiarato all’Ansa da Jan Kleijssen – direttore del dipartimento per l´informazione del Consiglio d’Europa – i diritti contenuti nel documento de quo “sono fondati sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani” e quindi “qualsiasi cittadino di uno dei 47 Stati membri dell´organizzazione può ricorrere a Strasburgo se ritiene che il suo Paese non li stia rispettando“.