Si discute animatamente in questi giorni sulle nuove disposizioni di attuazione del Jobs act in materia di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori e sull’impatto che deriverebbe dalla loro entrata in vigore.
C’è chi afferma che la riforma porterebbe ad un annullamento delle garanzie dei lavoratori, con richiami al Grande Fratello di orwelliana memoria, chi invece rileva che le tutele del lavoratore rimarrebbero pressoché inalterate.
Diverse riflessioni e considerazioni, dunque, che stanno generando dubbi e perplessità su un argomento di notevole importanza, sia per le imprese sia per i lavoratori, quale è quello degli strumenti di controllo a distanza.
Per fare chiarezza occorre considerare il testo della norma sugli impianti audiovisivi e sugli altri strumenti di controllo contenuta nello schema del decreto attuativo della legge delega 183/2014, allo stato sottoposto ad esame delle commissioni parlamentari.
Si tratta dell’art. 23, in base al quale l’articolo 4 della legge 300/1970 (“Statuto dei lavoratori”) andrebbe sostituito con il seguente:
- “Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso d imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
- La disposizione di cui al primo comma non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
- Le informazioni raccolte ai sensi del primo e del secondo comma sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196» (Codice della privacy)”.
Un primo elemento che sicuramente emerge dalla lettura del nuovo testo contenuto nello schema di decreto è l’assenza del divieto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori – c.d. controllo intenzionale – oggi previsto invece dall’art. 4 comma 1 dello Statuto dei lavoratori.
Quale rilievo assume l’assenza di un tale divieto generale rispetto ai sistemi di videosorveglianza?
L’utilizzo di impianti di videosorveglianza è regolamentato dal primo comma del “nuovo” articolo 4 dello Statuto contenuto nel decreto attuativo, che, riprendendo di fatto quanto già previsto dall’attuale disciplina in materia di controlli preterintenzionali, dispone espressamente la possibilità di utilizzare gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori solamente “per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”, previo accordo con i sindacati o autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro.
Viene cioè espressamente limitato l’ambito entro cui il datore di lavoro può attivare sistemi che consentono un controllo a distanza (quali ad esempio quelli di videosorveglianza), la cui installazione potrà pertanto avvenire – come già adesso – solo per specifiche esigenze (ivi compresa la tutela del patrimonio aziendale oggi non presente nel vigente art. 4 Statuto), diverse dal controllo diretto dell’attività lavorativa, previo coinvolgimento dei sindacati o della DTL.
Un aspetto di rilievo, proprio con riferimento al coinvolgimento delle rappresentanze sindacali contenuto nel nuovo testo del decreto attuativo, è legato alle ipotesi di imprese con più unità produttive dislocate in varie province di una stessa regione o in diverse regioni; in tal caso è previsto che l’accordo potrà infatti essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Se occorre invece coinvolgere la DTL e le unità produttive sono dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, l’autorizzazione all’installazione potrà essere richiesta al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
In base a tali indicazioni è possibile allora affermare che, rispetto ai sistemi di videosorveglianza e agli altri strumenti da cui può derivare anche un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, il testo che andrebbe a sostituire l’attuale art. 4 dello Statuto non porterebbe cambiamenti particolarmente rilevanti.
Ad una diversa conclusione sembra invece condurre la lettura della norma, nella sua attuale formulazione, per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, su cui infatti si concentrano le letture critiche da parte di stampa, sindacati e alcuni giuslavoristi.
Infatti, come espressamente previsto dal comma 2 del nuovo testo, la disposizione analizzata rispetto ai sistemi di videosorveglianza – che subordina il loro utilizzo a specifiche esigenze organizzative, produttive, di sicurezza sul lavoro e tutela del patrimonio e ad accordo con i sindacati o autorizzazione della DTL – “non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”
Secondo quanto precisato dalla nota ministeriale del 18 giugno 2015, la scelta di non richiedere il coinvolgimento dei sindacati o della DTL per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa (come pc, tablet e cellulari), deriverebbe dal fatto che tali strumenti, nella misura in cui “servono” al lavoratore per adempiere la prestazione, non potrebbero essere considerati come “strumenti di controllo a distanza”.
Il problema però, ad avviso di chi scrive, in base all’attuale formulazione della norma (che – come detto – non prevede più il divieto generale di controlli a distanza c.d. intenzionali), è legato all’utilizzo delle informazioni acquisite tramite tali strumenti di lavoro.
L’ultimo comma del testo del nuovo articolo 4 contenuto nel decreto, prevede infatti che “le informazioni raccolte ai sensi del primo e del secondo comma sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice della privacy)”.
Affermare che le informazioni acquisite attraverso gli strumenti di videosorveglianza (regolamentati dal primo comma) o tramite gli strumenti utilizzati per la prestazione lavorativa (previsti dal secondo comma) siano utilizzabili per “tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, purché si adempia all’obbligo informativo nei confronti dei lavoratori, sembra aprire alla possibilità di utilizzare i dati anche per fini disciplinari.
Un’apertura non da poco se si pensa che, ad oggi, i dati acquisiti tramite gli strumenti idonei ad effettuare un controllo a distanza potevano essere utilizzati solo per l’accertamento di eventuali fatti illeciti.
Al di là di queste brevi considerazioni, occorre comunque tener presente che il testo del nuovo art. 4 potrebbe subire modifiche, anche in seguito alle preoccupazioni sollevate in questi giorni anche dal Garante Privacy che, in occasione della presentazione della Relazione annuale, ha auspicato “che il decreto legislativo all’esame delle Camere sappia ordinare i cambiamenti resi possibili dalle innovazioni in una cornice di garanzie che impediscano forme ingiustificate e invasive di controllo, nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea”.