Google Adwords, come noto, è un servizio di pubblicità che consente di far apparire, tra i risultati di ricerca di Google, il link promozionale (sponsorizzato) al sito dell’inserzionista ogni qual volta la parola chiave scelta dall’utilizzatore del servizio Adwords venga digitata da un utente nella barra del motore di ricerca.
La scelta delle parole chiave è determinante e talvolta, oltre a indicare come keywords la propria denominazione sociale o marchi o nomi comuni attinenti all’attività e ai servizi resi, si inseriscono nomi e marchi altrui, che potrebbero essere o meno presenti realmente nel sito o nella pubblicità dello stesso.
E’ cioè possibile che i marchi indicati come keywords siano effettivamente presenti sul sito web dell’inserzionista perché, ad esempio, si tratta di un rivenditore di prodotti legati a quei marchi o perché si effettuano delle comparazioni tra i diversi prodotti legati a marchi diversi: ma è anche possibile che i marchi siano semplicemente indicati come parole chiave per avvantaggiarsi della loro notorietà e diffusione e che la condotta comporti una confusione nel pubblico che effettui la ricerca on line con quella determinata keyword.
Ebbene, è possibile utilizzare in una campagna di Google Adwords, tra le keywords, marchi registrati di soggetti terzi?
Si tratta di argomento di cui si discute animatamente in rete, anche in questi ultimi giorni, dopo che è emerso che la SIAE avrebbe inserito tra le parole chiave della sua campagna Google Adwords anche i nomi di due società concorrenti.
Scelta – confermata dalla SIAE in una sua nota – che consente, in concreto, all’utente che digita nella barra del motore di ricerca la parola “Soundreef”, di visualizzare il link del sito della SIAE come primo risultato a pagamento.
Per chi fosse interessato, si riporta qui l’articolo pubblicato su StartupItalia in cui si racconta la vicenda della SIAE e si segnala la presenza, sul sito della SIAE, di news e note in cui viene citata la Soundreef.
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Cosa prevede la legge sui marchi
Il marchio riceve tutela dal codice della proprietà industriale (D. lgs. 30/2005), che individua specifici diritti in capo a colui che ne è titolare.
Quali in concreto?
In base a quanto previsto dall’art. 20 del codice della proprietà industriale, “i diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio” e nel diritto “di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica: a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato; b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni; c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.”
Il titolare dei diritti di marchio, però, non può inibire qualsiasi uso dello stesso.
L’art. 21 del codice della proprietà industriale individua infatti delle limitazioni del diritto di marchio.
Più precisamente, in base al primo comma del citato articolo i diritti di marchio d’impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica, purché l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale, del loro nome e indirizzo, di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio, del marchio d’impresa se esso è necessario per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio.
Il secondo comma dell’art. 21 sancisce poi il divieto di “usare il marchio in modo contrario alla legge, né, in specie, in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni conosciuti come distintivi di imprese, prodotti o servizi altrui, o da indurre comunque in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato, o da ledere un altrui diritto di autore, di proprietà industriale, o altro diritto esclusivo di terzi”.
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La posizione della giurisprudenza in ordine all’utilizzo di marchi altrui come parole chiave di Adwords
Secondo la giurisprudenza comunitaria, l’uso di marchi altrui come parole chiave per servizi di posizionamento di Google può costituire violazione di marchio.
Il solo utilizzo dei marchi come keywords però non implica di per sé un comportamento illegittimo, potendo infatti giustificarsi in ragione di un accordo commerciale oppure da dinamiche legate ad un regime di libera concorrenza e pubblicità comparativa.
Non è quindi possibile operare una presunzione di violazione del marchio, dovendosi effettuare sempre un’analisi in concreto.
Così la Corte di Giustizia UE, nel noto caso Interflora v. Marks & Spencer (C-323/09) evidenzia che l’assolutezza della tutela contro l’uso non consentito di segni identici ad un marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato deve essere comunque contestualizzata, in quanto la tutela offerta dalla normativa mira solo a garantire che il marchio possa adempiere le sue proprie funzioni.
Come precisato dalla Corte nel caso relativo all’utilizzo, da parte di Marks & Spencer, della keyword “Interflora” per posizionare un annuncio di consegna di fiori a domicilio, senza riportare il marchio Interflora nel testo dell’annuncio, “il titolare di un marchio ha il diritto di vietare ad un concorrente di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio che tale concorrente, senza il consenso del titolare del marchio, ha scelto nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – a prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando il predetto uso è idoneo a violare una delle funzioni del marchio”.
Secondo quanto indicato dalla Corte, un tale uso:
– viola la funzione di indicazione d’origine del marchio allorché la pubblicità che compare a partire dalla suddetta parola chiave non consente o consente solo difficilmente all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi menzionati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo;
– non viola, nell’ambito di un servizio di posizionamento avente le caratteristiche di quello di cui trattasi nella causa principale, la funzione di pubblicità del marchio, e
– viola la funzione di investimento del marchio ove intralci in modo sostanziale l’utilizzo, da parte del titolare in questione, del proprio marchio per acquisire o mantenere una reputazione idonea ad attirare i consumatori e a renderli fedeli.
Segnala poi la Corte che “il titolare di un marchio che gode di notorietà ha il diritto di vietare ad un concorrente di fare pubblicità a partire da una parola chiave corrispondente a tale marchio che il suddetto concorrente, senza il consenso del titolare del marchio, ha scelto nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, qualora detto concorrente tragga così indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio (parassitismo) oppure qualora tale pubblicità arrechi pregiudizio a detto carattere distintivo (diluizione) o a detta notorietà (corrosione).
Un annuncio pubblicitario a partire da una parola chiave siffatta arreca pregiudizio al carattere distintivo del marchio che gode di notorietà (diluizione), in particolare, ove contribuisca a trasformare la natura di tale marchio rendendolo un termine generico.
Per contro, il titolare di un marchio che gode di notorietà non può vietare, in particolare, annunci pubblicitari fatti comparire dai suoi concorrenti a partire da parole chiave che corrispondono a detto marchio e propongono, senza offrire una semplice imitazione dei prodotti e dei servizi del titolare di tale marchio, senza provocare una diluizione o una corrosione e senza peraltro arrecare pregiudizio alle funzioni di detto marchio che gode di notorietà, un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare di detto marchio”.
Anche in Italia la giurisprudenza è intervenuta in questioni relative all’utilizzo, come keywords di Adwords, di marchi altrui, ritenendo, in generale, che l’uso del marchio di un terzo come parola-chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet costituisce violazione del marchio se ne compromette una delle funzioni tipiche del marchio stesso e generi confusione nella clientela.
Così, il Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa, con sentenza 3280 del 2009, ha ritenuto illegittimo l’utilizzo, come parola chiave in una campagna adwords del marchio di nota società di noleggio, da parte di società concorrente; scelta che, secondo il Tribunale era evidentemente tesa a sfruttare la notorietà del marchio a proprio vantaggio configurando, nel caso specifico, un’attività confusoria, sviamento della clientela e violazione del marchio per l’individuazione di servizi offerti dall’inserzionista, sicuramente affini a quelli della società il cui marchio era stato inserito come parola chiave.
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La posizione dell’AGCOM in un caso di utilizzo di marchi altrui come parole chiave di Adwords
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è stata chiamata a decidere, nel mese di febbraio del 2015, su un caso di utilizzo di marchio altrui tra le parole chiave relative ad una campagna adwords.
In ordine all’utilizzo del marchio di nota società veneta di arredamento cucine da parte di società concorrente, senza che vi fosse alcun rapporto di natura commerciale, l’Autorità, con il suo provvedimento n. 25349, consultabile qui, ha ritenuto che la condotta posta in essere dalla società inserzionista sia ingannevole e determini confusione tra i consumatori, così configurando un’ipotesi di pratica commerciale scorretta, ai sensi degli articoli 20, comma 2, 21, comma 1, lettere a) ed f), e comma 2, lettera a), del Codice del Consumo, ne vieta la diffusione o continuazione e irroga alla Società una sanzione amministrativa pecuniaria di 11.000 € (undicimila euro).
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Cosa prevedono le condizioni del servizio Google Adwords in ordine all’utilizzo di marchi altrui come parole chiave
Google non si assume la responsabilità in ordine ad un possibile utilizzo di Google Adwords che contrasti con la normativa vigente.
Ed infatti, come espressamente indicato nei termini e condizioni di utilizzo del servizio:
“Il Cliente garantisce (a) di essere titolare dei diritti su Creatività, Destinazioni e Target, che a mezzo del presente accordo concede in licenza a Google, alle sue Affiliate e ai Partner al fine di far funzionare i Programmi, (b) che tutte le informazioni e le autorizzazioni fornite da o per conto del Cliente sono complete, corrette e aggiornate, e (c) che l’Uso, i Servizi o le Destinazioni non: (i) violeranno né favoriranno la violazione di alcuna legge, regolamento o codice di condotta applicabile (inclusi, a mero titolo esemplificativo il Codice di Autodisciplina pubblicitario italiano o ogni altro codice di condotta che preveda standard equivalenti in materia di pubblicità e che sia vigente in qualsiasi diversa giurisdizione); o (ii) non violeranno i diritti di proprietà intellettuale di soggetti terzi, né conterranno materiale offensivo, illecito, osceno, intimidatorio o diffamatorio” (clausola 5 “garanzie”).
Con specifico riferimento alla scelta delle parole chiave nei citati termini e condizioni di utilizzo si precisa che “il Cliente è esclusivamente responsabile per tutte: (i) le Creatività (ii) le decisioni sul traffico degli Annunci o su altro meccanismo di targeting (ad esempio, le parole chiave)”.
E ancora, nella scheda “Guida per i proprietari di marchi”, si legge che “Google riconosce l’importanza dei marchi. In base a quanto stabilito da Termini e condizioni di AdWords, gli inserzionisti sono tenuti a non violare i diritti di proprietà intellettuale. Ciascun inserzionista è responsabile delle parole chiave e dei contenuti degli annunci che decide di utilizzare”.
Nella scelta della parola chiave il Cliente deve quindi prestare attenzione.
Infatti, a prescindere dal fatto che Google “non verifica o limita l’uso di termini registrati come marchi nelle parole chiave”, il Cliente che utilizzi un marchio altrui nell’ambito del servizio di Adwords in violazione della normativa di settore vigente, potrà essere chiamato a risponderne.
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Suggerimenti per chi usa Google Adwords
Pertanto, chi decide di avviare una campagna di Google Adwords e voglia inserire tra le parole chiave marchi di un competitor deve prestare attenzione, considerando che il suo impiego è consentito se trova giustificazione in un contratto di licenza o in qualsiasi altro rapporto di natura commerciale o, ancora, se espressione di un corretto rapporto concorrenziale, mentre deve ritenersi vietato qualora determini confusione tra i prodotti o servizi offerti dal titolare del marchio usato come parola chiave e quelli dell’inserzionista.
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